Mons. Pompili inaugura l’anno accademico 2023-24 dello Studio Teologico San Zeno
Si è inaugurato lunedì 25 settembre 2023, con l’eucarestia presieduta dal vescovo Mons. Domenico Pompili e concelebrata da docenti ed educatori del seminario e degli istituti affiliati, il nuovo anno accademico dell’Istituto teologico San Zeno. Complessivamente gli studenti di teologia sono circa 60 di cui 23 provenienti dai seminari diocesani di Verona (19), di Trento, di Belluno e di Mantova. Mentre i laici iscritti sono 4 e i religiosi 33. I docenti sono circa una trentina. Il nuovo Statuto delle Facoltà e Istituti teologici in Italia, approvato lo scorso luglio, stabilisce il ciclo di studi per la teologia di 5 anni e l’accesso aperto a tutti, laici compresi.
Durante il saluto don Gianattilio Bonifacio, direttore dell’Istituto teologico, ha dato il benvenuto al vescovo Domenico esprimendo la consapevolezza che il percorso di ricerca e di studio della teologia, fondato sull’ascolto della Parola di Dio non è mai disgiunto dalla fede quotidiana vissuta nella Chiesa. «Con questo inizio vogliamo dire la nostra disponibilità perché questa ricerca non sia chiusa in se stessa ma aperta alla testimonianza e alla missione. Il nostro impegno è di un ascolto attento, premuroso e paziente della Parola di Dio e della storia degli uomini e delle donne del nostro tempo».
Federico Zandomeneghi del seminario diocesano di Verona che frequenta la IV teologia ha rivolto a nome degli studenti, il saluto al vescovo Domenico: «siamo molto contenti di averla qui con noi oggi. Vogliamo ringraziare il Signore per la possibilità che ci dà di approfondire la nostra fede, e vogliamo affidare a Lui questo nuovo anno perché il nostro studio fatto di ascolto e confronto possa essere fecondo».
Il messaggio del vescovo
Il vescovo Domenico ha commentato il Vangelo della liturgia del giorno: «Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro perché chi entra veda la luce» (Lc 8,16). «La luce è tutto. Così mi confidava alcuni giorni fa il noto fisico veronese dichiaratamente agnostico, Carlo Rovelli. La luce è tutto. Senza la luce è il nulla. Noi quel che conosciamo, lo dobbiamo alla luce. Che cosa saremmo senza luce? Nulla. Invisibili a tutti e a noi stessi. Un buco nero.
La luce invece illumina e dà la vita. Attraversa le cose e le accende di giusto colore. La luce ci permette di esplorare confini irraggiungibili. Non è un caso che si dica nel linguaggio corrente “venire alla luce”. La luce insomma dà vita, pace, conoscenza. La luce rasserena mentre il buio tormenta. Quando Gesù parla dei cristiani come luce del mondo vuole ricordare a tutti i cristiani la responsabilità che hanno di rendere con la loro vita luce per tutti. Non dobbiamo essere necessariamente illuministi, ma illuminati e illuminanti. Perché la luce è destinata a tutti.
In questo brano del Vangelo la luce fa riferimento al mistero che è lui stesso. Davanti a lui ci sarà sempre qualcosa di nascosto che deve essere scoperto o riscoperto. E proprio da qui nasce la teologia. la teologia nasce come una spinta a rifiutare categoricamente ogni fideismo, ossia, la volontà di credere contro la ragione, secondo quel vecchio adagio credo quia absurdum (Tertulliano). Niente c’è niente di più lontano dalla teologia cattolica, perché Dio non è l’assurdo ma semmai mistero. E il mistero a sua volta non è irrazionale ma è sovrabbondanza chi ci supera da ogni lato. Per questo è necessario continuare la nostra esplorazione di Lui.
Se guardando al mistero la ragione vede buio non è perché nel mistero non ci sia luce ma perché ce n’è troppa.
In conclusione, che è anche il mio augurio per il nuovo anno accademico: «fate attenzione, dunque, a come ascoltate». Questa affermazione del maestro suona come un avvertimento. È l’esito della parabola di Luca che abbiamo appena ascoltato.
“Come ascoltate” significa con quale atteggiamento, con quale disponibilità, con quale prontezza. È un programma di impegno.
Con quale atteggiamento? Di chi sente di non sapere e di dover continuamente mettere in discussione il proprio punto di vista rispetto a chi invece nasce già “imparato”, già “saputo” e crede di non aver più nulla da scoprire.
Con quale disponibilità significa con quale capacità di essere coinvolti dentro lo studio teologico non semplicemente per arrivare ad obiettivi come insegnare o l’accesso all’ordine, ma quale disponibilità significa che cosa io attraverso lo studio della teologia intendo metterci della mia personale ricerca della fede.
E da ultimo quale prontezza: c’è bisogno che di gente che agisca, che non rimanga attonita, che non stia in una sorta di tacito assenso, perché la prontezza che qui si esige è la curiosità di chi di fronte al mistero di Dio, sa che ci sono cose straordinarie e sempre nuove da scoprire.
Questo è l’augurio. Perché “la verità non è un’idea astratta ma è Gesù, il Verbo di Dio in cui è la Vita che è la Luce degli uomini” (Veritatis Gaudium, proemio)».
Un’attenzione e una consegna nel solco della recente lettera pastorale sul silenzio.
Renzo Beghini