Home » Rivista » Persona: genealogia, percorsi e posta in gioco. Tra individualismo e comunitarismo (I)

Numero 25
Persona: genealogia, percorsi e posta in gioco. Tra individualismo e comunitarismo (I)

Gennaio - Dicembre 2009

Abstract e allegati

di Giuseppe AccordiniFull Text

Sommario

Il contesto in cui prendono forma i contributi di questi due fascicoli su persona, individuo e identità è quello di un lavoro interdisciplinare umanistico, filosofico e scientifico a servizio della teologia attuale e postconciliare. Spesso nella nostra tradizione occidentale, in cui la filosofia e la teologia cristiana si muovono, le figure sintetiche e programmatiche più comuni della verità, come essere o persona, sono anche quelle più fruste e meno controllabili, cioè più ripetitive, meno affidabili e meno significative. Il rischio che si corre in questi casi è quello di batter l'aria o di incrementare e confermare una confusione di cui non si sente proprio l'esigenza. Il semantema persona, pertanto, si presta e necessita di una messa a punto rigorosa, complessa e interdisciplinare, da realizzarsi in un contesto di collaborazione approfondita e di confronto appassionato tra le diverse competenze in campo e che non esclude un responsabile, faticoso e necessario conflitto delle interpretazioni.

di Amedeo CenciniFull Text

Abstract

From identity received to self-esteem acquired

The identity, psychologically, is a concept, or the abstract perception of our oneness-singularity-uniqueness, of what constitutes dignity and kindness; self-esteem, on the contrary, is a subjective experiential feeling, or the reading that the subject in fact makes of himself and of his historical journey, stretched between positivity and negativity. As a substantially and durably positive judgment of ourselves, this estimate is essential for our psychological balance, but it’s possible only starting from the perception of our radical dignity, ineradicable in itself, and from the coherent project that fulfils it. It depends, therefore, on the subjective feelings, or on what the individual believes it’s important to feel... important, namely significant and positive. Actually, an individual may have a theoretical positive identity (perhaps linked to his vocation), but with a low self-esteem, because it is built on realities and ambitions that don’t correspond to his objective dignity and therefore these won’t ever be able to give him the definite certainty of its positivity. This article aims to analyse exactly the relationship between identity and self-esteem, and then to indicate an uniform path of building our self-esteem based on our identity. A decisive path, since no one can live well with a negative self-perception.

Sommario

L'identità – sul piano psicologico – è un concetto, o la percezione astratta della propria unicità-singolarità-irripetibilità, di ciò che ne costituisce la dignità e amabilità; la stima di sé, invece, è una sensazione esperienziale soggettiva, o la lettura che di fatto il soggetto fa di sé e del suo cammino storico, teso tra positività e negatività. Tale stima, come giudizio sostanzialmente e stabilmente positivo di sé, è essenziale per l'equilibrio psicologico, ma è possibile solo a partire dalla percezione della propria dignità radicale, in sé incancellabile, e dal progetto coerente di darle compimento. Dipende, dunque, dalla sensibilità soggettiva, o da ciò che il singolo ritiene importante per sentirsi… importante, ovvero significativo e positivo. In realtà, un individuo potrebbe avere una teorica identità positiva (magari legata alla propria vocazione), ma con una bassa stima di sé, perché costruita, quest'ultima, su realtà e ambizioni che non corrispondono all'oggettiva sua dignità e che dunque non gli potranno mai dare la certezza definitiva della sua positività. Il presente articolo intende analizzare esattamente il rapporto tra identità e stima, per poi indicare un possibile percorso unitario di costruzione della stima di sé basato sulla propria identità. Percorso decisivo, poiché nessuno può vivere bene con una percezione negativa di sé.

di Daniele LoroFull Text

Abstract

The adult struggling with the construction of his own and unique identity

The article begins with a brief reflection on the identity theme, considered today as a very important matter, not only from the social point of view but also and perhaps especially from a cultural point of view, with the aim of clarifying what could be the contributions of the pedagogical reflection and the educational practice in finding solutions of this problem. In this particular case, the pedagogical reflection’s role might be the indication of the presence of a way different from the theoretical one, for the adult research of his identity and then of his being person; a way that favours the reflection on the life experience that inevitably marks the existence of any adult. In the central and final part of the article, the author proposes for the adults an educational itinerary, focused on the research of our inner being, understood as a privileged existential place to address the issue of identity and understand its value. According to the author, in this way the foundations are laid so that the adult can reach a wider and more convinced understanding of the meaning of being, not only an "individual", but also a "person".

Sommario

L'articolo parte da una breve riflessione sul tema dell'identità, considerato come una questione oggi particolarmente importante, non solo dal punto di vista sociale ma anche e forse soprattutto dal punto di vista culturale, con l'obiettivo di chiarire quali potrebbero essere i contributi della riflessione pedagogica e della pratica educativa nella ricerca della soluzione di tale problema. Nel caso specifico, il ruolo della riflessione pedagogica potrebbe essere quello di indicare la presenza di una via diversa da quella teoretica, per la ricerca da parte di un adulto della propria identità e quindi del proprio essere persona; una via che privilegia la riflessione sull'esperienza di vita che segna inevitabilmente l'esistenza di ogni adulto. Nella parte centrale e finale dell'articolo, l'autore propone per gli adulti un itinerario educativo incentrato sulla ricerca della propria interiorità, intesa come luogo esistenziale privilegiato per affrontare il tema dell'identità e comprendere il valore che è insito in essa. In tal modo si pongono le premesse, secondo l'autore, perché l'adulto possa pervenire ad una più ampia e convinta comprensione del significato dell'essere non solo un "individuo" ma anche e soprattutto una "persona".

di Arnaldo PetterlinFull Text

Abstract

From Id to Ego

Towards the end of his troubled theoretical path, Freud recognizes in the individual’s psyche three fundamental instances or structures: the Id, the place of the Unconscious and of its blind instincts, the Superego, defined by Freud as the heir of the Oedipus complex with the role of moral conscience, judge and censor towards the Ego. This structure - the ego - has the task, arduous and very often conflicted, to replace the pleasure principle, unchallenged domination of the Id, with the principle of reality and also to stem, with its "reason and thoughtfulness" the sometimes cruel needs of the Superego. The task is briefly carved in the famous Freudian sentence: «where Id was there ego shall be». A never-ending task, since the ego - according to Freud- is constantly occupied both to steal ground to the archaeological expropriation that depersonalise the Id, and to bring back the teleological expropriation of the religious illusion in its real meaning, transforming and solving, as Feuerbach at the time - and, for the pars destruens, same thing Karl Barth - the theology in anthropology.

Sommario

Verso la fine del suo travagliato percorso teorico, Freud riconosce nella psiche della persona tre fondamentali istanze o strutture: l'Es, luogo dell'Inconscio e delle sue cieche pulsioni, il Super-Io, definito da Freud come l'erede del complesso edipico con il ruolo di coscienza morale, di giudice e censore nei confronti dell'Io. Quest'ultima struttura - l'Io - ha il compito, arduo e assai spesso conflittuale, di sostituire il principio di piacere, incontrastato dominio dell'Es, col principio di realtà e inoltre di arginare, con la sua “ragione e ponderatezza”, le esigenze talora crudeli del Super-Io. Il compito è sinteticamente scolpito nella famosa frase freudiana: «Dove era l'Es, deve subentrare l'Io». Compito mai concluso, poiché l'Io – secondo Freud – è costantemente impegnato sia a sottrarre terreno all'espropriazione archeologica spersonalizzante dell'Es, sia a ricondurre l'espropriazione teleologica dell'illusione religiosa nel suo significato reale, trasformando e risolvendo, come già Feuerbach – e, per la pars destruens, lo stesso Karl Barth – la teologia in antropologia.

di Emanuele Morandi e Adalberto ArrigoniFull Text

* Il paragrafo 1 è di Emmanuele Morandi; i paragrafi 2 e 3 e 4 sono di Adalberto Arrigoni.

Abstract

The impermissible "society of individuals"

The brief contribution wants to explore on the one hand the strength and effectiveness of Girard's discovery on the connection between violence and origin of culture, and on the other hand the limits the Girardian theory carries with it, especially those concerning the connection between the sacred and the Christian sacrificial event. The sacred, in fact, It’s far and away more original than its instrumental use to hide the mimetical violence. We think that only by focusing this intrinsic limitation, the Girardian "discovery" becomes capable of “correctly” interpreting many of the factors which characterize the Eucharistic action of the Christian Mystery.

Sommario

Il breve contributo intende esplorare da una parte la forza e l'efficacia della scoperta girardiana relativa alla connessione tra violenza e origine della cultura, e dall'altra i limiti che la teoria girardiana porta in sé, soprattutto quelli che riguardano la connessione tra il sacro e l'evento sacrificale cristiano. Il sacro, infatti, è di gran lunga più originario rispetto ad un suo strumentale utilizzo per occultare la violenza mimetica. Pensiamo che solo focalizzando questo intrinseco limite, la "scoperta" girardiana diventa capace di interpretare "correttamente" molti degli elementi che caratterizzano l'azione eucaristica del Mistero cristiano.

di Roberto VincoFull Text

Abstract

Plural identity Hannah Arendt

Among the many themes we find in the works of Hannah Arendt, the one about the "identity" It’s maybe the common thread of her life and thought. An "Ego" imagined as "unique and unrepeatable", but always "plural". Although it’s hard to talk about a well-defined "identity”, from her Jewish roots she preserved the interpretation of life as an ongoing "exodus", a walk always "on the threshold", preferring the risky paths of the autonomous and free thinking. For Arendt the real drama of man, the true "banality of evil" is "not thinking." The advent of totalitarianism is born exactly from the annihilation of the individual through the ideological indoctrination. Eichmann was only a person who gave up on "thinking with his head". To get out of this situation, according to Arendt, the only possible way is to "re-start from the politics." A politics intended as "taking care", as a "plural acting " to save the fragments of the stories of each one and to ensure that everybody, women and men, can realize their "inhabit the earth." The real miracle is "starting".

Sommario

Tra i tanti temi che ritroviamo nelle opere di Hannah Arendt, quello della "identità" è forse il filo conduttore della sua vita e del suo pensiero. Un "io" concepito come "unico e irrepetibile", ma sempre e comunque "plurale". Anche se è difficile parlare di una sua "identità" ben definibile, della sua radice ebraica ha conservato il suo interpretare la vita come un continuo"esodo", un camminare sempre "sulla soglia", preferendo i sentieri rischiosi del pensiero autonomo e libero. Per la Arendt il vero dramma dell'uomo, la vera "banalità del male" è il "non pensare". L'avvento del totalitarismo nasce proprio dall'annientamento dell'individuo attraverso l'indottrinamento ideologico. Eichmann era soltanto una persona che aveva rinunciato a "pensare con la sua testa". Per uscire da questa situazione, secondo la Arendt, l'unica strada possibile è quella di "ri-partire dalla politica". Una politica intesa come "prendersi cura", come "agire plurale" per salvare i frammenti delle storie di ognuno e per far sì che tutti, donne e uomini, possano realizzare il loro "abitare la terra". Il vero miracolo è "in-cominciare".

di Lucia VantiniFull Text

Abstract

Make the birth

Identifying ourselves as a singularity through our name is a necessity of life; sooner or later, we have to face this question of meaning. Marked by the differences in context, in its urgency it’s maybe always the same. There is obviously no single, definitive answer, because an identity is a process in which the birth certainly appears as a precise reality, but continually renewed and rewritten, especially after the various experiences of imbalance that affect us. What we can say, however, it’s the dialectic between assets and liabilities through the recognition of ourselves, built with the effort of thought and memory, but also offered without intention, as the unexpected ego that emerges from history. Two thinkers of the 20th century, Hannah Arendt and Maria Zambrano, show two constitutive sides of this continuous birth’s reworking, which however becomes philosophical and existential gain only within a confident sense of the possible.

Sommario

Riconoscersi come singolarità dal nome proprio è una necessità della vita: prima o poi, si è rinviati a questa domanda di senso. Segnata dalle differenze del contesto, è forse, nella sua urgenza, sempre la stessa. Non c'è ovviamente una risposta univoca e definitiva, perché un'identità è un processo in cui la nascita compare certamente come fatto puntuale, ma continuamente rinnovato e riscritto, soprattutto dopo le varie esperienze di squilibrio che ci coinvolgono. Quel che si può dire, comunque, è la dialettica tra attività e passività che attraversa il riconoscimento di sé, costruito con la fatica del pensiero e della memoria, ma altresì offerto senza intenzione, come l'imprevisto dell'io che emerge dalla storia. Due pensatrici del Novecento, Hannah Arendt e Maria Zambrano, mostrano i due lati costitutivi di questa continua rielaborazione della nascita, che diviene tuttavia guadagno filosofico ed esistenziale solo all'interno di un fiducioso senso del possibile.