Cosa significa studiare teologia?
Il Vescovo Domenico, durante l’incontro con gli studenti dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose lo scorso dicembre 2022, ha illustrato cosa significa studiare teologia con queste parole.
Romano Guardini il teologo nato a Verona, descrive lo studio della teologia in questi termini: «Che cosa potremmo fare? Soprattutto cercare di fare qualche esperienza di Lui. Potremmo prenderci un libro che tratta di Lui. Ma non leggere come facciamo per istruirci su qualche argomento, bensì con cuore aperto, nell’anelito dello spirito. Non basta dunque soltanto leggere e pensare, dobbiamo anche pregare»[1].
Il maestro che è Romano Guardini in queste poche parole ci offre una prima esposizione di cosa è teologia: è una qualche esperienza di Lui. A partire dal testo biblico certo, ma attenzione – continua il Guardini – «da non leggere come facciamo per istruirci su qualche argomento, bensì con cuore aperto, nell’anelito dello spirito».
Teologia ed esperienza di Dio
Vorrei partire dalla parola ‘esperienza’ perché teologia non ha a che fare con un’atmosfera artefatta e statica, ma con un’esperienza di vita. Il che evoca una possibile relazione con Dio per arrivare alla quale è necessario non semplicemente metterci nell’atteggiamento di chi vuole istruirsi, ma di chi vuole andare oltre la semplice riflessione razionale e porsi con un cuore aperto di fronte al Mistero.
La teologia abilita a questa apertura verso ‘qualcuno’ di sconosciuto per definizione perché Dio nessuno può mai pensare di conoscerlo, ed è per questo che l’apertura richiesta è ancora più esigente. Questa apertura all’altro richiede un cuore che nell’accezione biblica del termine non è semplicemente la sede dei sentimenti o delle emozioni, ma è il luogo sintetico in cui si mette insieme razionalità ed affettività. Il cuore nella Bibbia è quel luogo nel quale è possibile mettersi alla ricerca di Dio con la capacità di aprirsi all’altro.
Teologia e ricerca di Dio
C’è un testo che descrive in maniera sintetica cos’è teologia ed è il celebre discorso del 2008 di Benedetto XVI al Collège des Bernardins di Parigi, nel quale a partire dall’esperienza dei monaci definisce la teologia come “quaerere Deum” cercare Dio. E precisa, “Lo schema fondamentale dell’annuncio cristiano “verso l’esterno” – agli uomini che, con le loro domande, sono in ricerca – si trova nel discorso di san Paolo all’Areopago. Teniamo presente, in questo contesto, che l’Areopago non era una specie di accademia, dove gli ingegni più illustri s’incontravano per la discussione sulle cose sublimi, ma un tribunale che aveva la competenza in materia di religione e doveva opporsi all’importazione di religioni straniere. È proprio questa l’accusa contro Paolo: “Sembra essere un annunziatore di divinità straniere” (At 17, 18). A ciò Paolo replica: “Ho trovato presso di voi un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio” (At 17, 23). Paolo non annuncia dèi ignoti. Egli annuncia Colui che gli uomini ignorano, eppure conoscono: l’Ignoto-Conosciuto; Colui che cercano, di cui, in fondo, hanno conoscenza e che, tuttavia, è l’Ignoto e l’Inconoscibile. Il più profondo del pensiero e del sentimento umani sa in qualche modo che Egli deve esistere. Che all’origine di tutte le cose deve esserci non l’irrazionalità, ma la Ragione creativa; non il cieco caso, ma la libertà.
Teologia a partire dalla storia
Tuttavia, malgrado che tutti gli uomini in qualche modo sappiano questo – come Paolo sottolinea nella Lettera ai Romani (1, 21) – questo sapere rimane irreale: un Dio soltanto pensato e inventato non è un Dio. Se Egli non si mostra, noi comunque non giungiamo fino a Lui. La cosa nuova dell’annuncio cristiano è la possibilità di dire ora a tutti i popoli: Egli si è mostrato. Egli personalmente. E adesso è aperta la via verso di Lui. La novità dell’annuncio cristiano non consiste in un pensiero ma in un fatto: Egli si è mostrato. Ma questo non è un fatto cieco, ma un fatto che, esso stesso, è Logos – presenza della Ragione eterna nella nostra carne. Verbum caro factum est (Gv 1,14): proprio così nel fatto ora c’è il Logos, il Logos presente in mezzo a noi. Il fatto è ragionevole. Certamente occorre sempre l’umiltà della ragione per poter accoglierlo; occorre l’umiltà dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio»[2].
La teologia è dunque l’esperienza che ci mette alla ricerca di Lui facendo leva su questa dimensione del cuore aperto.
Teologia come ascolto, riflessione, contemplazione
Nella descrizione di Romano Guardini c’è una sequenza: leggere, pensare e pregare. Leggere. La Lectio dal medioevo in poi è il punto di partenza e ciò con il quale tutto si avvia. E leggere significa misurarsi con il testo della Parola perché è dalla Parola che tutto può nascere. Non da altri pensieri umani. Una relazione fontale mai scontata. Il Vaticano II ha fatto della relazione con la Parola di Dio il suo riferimento originario che non va mai usata come puntello ma sempre come ispirazione.
Pensare. Perché l’esercizio della scienza teologica non dispensa dalla capacità di riflettere. Al prof. K. Rahner sul finir della sua vita fu posta la domanda su quale fosse a suo parere il problema teologico più importante oggi. Ed Egli rispose che il problema teologico più rilevante era come rendere possibile l’esperienza di Dio oggi. Questo per dire che non basta leggere ma occorre riflettere e pensare. Oggi per la teologia è essenziale cercare di rendere immaginabile l’esperienza di Dio. Perché le cose che non passano attraverso il nostro pensiero e immaginazione – che è una cosa diversa dalla pura fantasia – non arrivano a toccarci dentro. Se la teologia non riesce a dare parola all’esperienza di Dio, e a renderla parte del nostro mondo interiore, Dio rimane sempre qualcosa che ci sta all’esterno. Mentre invece il pensiero teologico ci rende capaci di fare nostra questa importante e decisiva relazione.
E da ultimo pregare. Perché se è vero che cercare Dio significa desiderare di incontrarne il volto, la preghiera rimane la forma in cui noi ci mettiamo direttamente esposti alla luce di Dio. La preghiera cui faccio riferimento non è legata a formule o a parole, ma è il sostare sotto lo sguardo benevolo e provvidente del Padre. È quella luce che come per Mosè, ne irradia il volto ed è ciò che vince la nostra insuperabile solitudine.
Teologia pubblica, nel pluralismo
Un ultimo aspetto. Se la teologia è la ricerca di Lui con cuore aperto, se i passaggi di questa teologia sono il leggere, pensare e pregare, che significa fare teologia oggi?
Peter Berger un sociologo e teologo austriaco morto qualche anno fa, scrisse un testo dal titolo “I molti altari della modernità”[3], in cui rilevò che la sfida che si pone per la chiesa non è la tanto declamata secolarizzazione. La categoria con la quale abbiamo cercato di dare una risposta a tutto quello che è accaduto di male all’interno della chiesa in questi ultimi anni.
Va detto che Berger è stato uno dei teorici della secolarizzazione. Ma sul finire della sua vita capovolgendo la sua tesi iniziale, Egli afferma che non fu la secolarizzazione la causa di questo cambiamento di scenario, quanto piuttosto il pluralismo. E riprendendo questa tesi direi che è il pluralismo ciò con cui la teologia oggi deve confrontarsi. Il che significa che oggi la teologia trova come suo interlocutore non uno scenario univoco, non una situazione organica o uniforme, ma trova una pluralità di posizioni: “i molti altari del mondo moderno” direbbe Berger. Si è vero, ci sono sempre più persone che si definiscono non credenti. Ma in realtà ci sono tanti diversamente credenti. E ce ne sono ancora di più di creduloni. E perciò c’è una variegata specie di umanità che ci dice che non esiste semplicemente la persona secolarizzata, ma esiste una pluralità di interpretazioni con cui la teologia deve misurarsi. È ciò che fa della teologia non più una riflessione chiusa negli ambienti ecclesiali, ma una teologia pubblica da sviluppare a contatto con la realtà. Non nel chiuso, tranquillo e rassicurante nostro mondo. Ma nel confronto aperto con quella pluralità di posizioni che è ciò che ci aiuta paradossalmente a focalizzare anche meglio il cuore della nostra riflessione. Perché è proprio nel confronto con ciò che è diverso da noi, che passata quella iniziale fase di confusione e disorientamento, se abbiamo qualcosa da dire riusciamo a tirarlo fuori ancora con maggiore chiarezza. Ciò che ci sta davanti è un’avventura affascinante e incoraggiante che supera l’esperienza individualistica della fede. È la teologia come la forma pubblica di esercizio della fede a beneficio della comunità. Un’esperienza pienamente ecclesiale.
+ Vescovo Domenico
[1] R. Guardini, Colui che ci attende, ci precede, in La Santa Notte. Dall’Avvento all’Epifania, Morcelliana 1994.
[2] Benedetto XVI, Incontro con il mondo della cultura al Cellège des Bernardins, Parigi, 12 settembre 2008.
[3] P. Berger, I molti altari della modernità. Le religioni al tempo del pluralismo, EMI, Bologna 2017.